Il Vangelo da dentro ZEBEDEO (Lc 5, 1-11) Il trasferimento di Gesù da Nazareth a Cafarnao è passato quasi inosservato. Ci era giunta notizia di un maestro atipico, che, pur non avendo frequentato nessuna scuola rabbinica, era capace di dirimere questioni in modo nuovo e di scaldare i cuori con l’annuncio della vicinanza del Regno e l’invito alla conversione. Ma quando, per la prima volta, ha preso la parola nella nostra assemblea, invitato dal capo della sinagoga, allora ci siamo subito resi conto che la fama non rendeva giustizia alla sua persona. Lui era molto, ma molto di più. Non ci saremmo stancati mai di ascoltare quella sua voce forte e suadente, di farci trascinare dalle sue visioni nuove su Dio, di entusiasmarci di fronte alla sua proposta di amore e fratellanza universali. I miei due figli, Giacomo e Giovanni, ne rimasero folgorati, insieme a tanti altri. Da allora non hanno perso occasione per stargli vicino e abbeverarsi ai suoi insegnamenti. Presto la sua fama si diffuse in tutta la regione. Venivano ormai folle ad ascoltarlo. Quella volta fu costretto a chiedere in prestito la barca di Simone e addentrarsi alcuni metri nel lago, così da avere un pulpito da dove poter parlare alla gente assiepata sulla riva. Il dopo lo conoscete dal vangelo. Simone si è fidato della parola di questo non pescatore, della sua indicazione professionalmente stramba, e la pesca è stata abbondantissima. I miei figli, soprannominati “figli del tuono” per la loro impetuosità, naturalmente non ci pensarono due volte ad accogliere il suo ulteriore invito a seguirlo, a diventare suoi discepoli in quella scuola di vita, itinerante e aperta a tutti. Insieme a Simone, loro socio, lasciarono tutto per correre dietro a una promessa strana, quasi incomprensibile al momento, ma con una grande forza di attrazione: diventare pescatori di uomini (in seguito avrebbero capito che si trattava di generare uomini alla vita in Dio, attraverso quella Parola che loro avevano accolto, di cui si erano fidati, e che aveva rigenerato anche le loro vite). Come ci rimasi io?!? Difficile da dire. Avevo lavorato tanto per tirare su la nostra impresa familiare di pesca, della quale i miei figli avevano preso in mano le redini, con competenza e passione. Gli affari andavano ottimamente. Erano addirittura aumentati, dopo esserci messi in società con la famiglia di Simon Pietro. Insomma, stavamo bene, non ci mancava niente. E le giornate erano diventate ancor più radiose, per noi e tutta Cafarnao, dall’arrivo di Gesù. L’aver lasciato tutto, famiglia e mestiere, per andare dietro a una promessa, mi sembrava un azzardo. Ero preoccupato per come sarebbero andati gli affari della pesca (comunque, devo confessare che andarono molto meglio di quanto avessi previsto in quel momento). Non riuscivo però ad essere arrabbiato, ad avercela con loro, né tantomeno con Gesù. Semmai ero perplesso. Pensavo e ripensavo a come l’arrivo di quel nazareno avesse cambiato le nostre vite, in meglio. A dirla tutta, se avessi avuto meno anni e più coraggio, probabilmente avrei fatto la stessa scelta dei miei figli. Dopo la morte di Gesù a Gerusalemme, Giacomo e Giovanni, insieme a Pietro e a qualche altro, sono tornati a casa. Ci raccontavano di averlo visto vivo; parlavano di resurrezione dai morti. Hanno ripreso il lavoro di un tempo; ma era evidente che non avevano lo stesso entusiasmo e interesse di prima. Le loro menti e il loro cuore erano altrove. Non si può dire nemmeno che fossero tristi. Erano come assenti, bruma in attesa di diradarsi, di dare spazio al sole, che sarebbe certamente spuntato. Indecisi, quasi in stallo, tra la nostalgia per il tempo passato con Gesù, e un futuro dai contorni indefiniti, da determinare con una scelta coraggiosa di vita. Finché una mattina presto, al ritorno da una notte di pesca infruttuosa, come quella prima volta, Gesù si è presentato, risorto, sulla riva e ha ripetuto il miracolo dell’inizio. Avevano bisogno di quel segno, di quel dialogo intriso di promesse di amore e di invio missionario. È stato un rivivere la gioia e la chiamata di quel primo momento. Sono ripartiti, ancora una volta, lasciando di nuovo tutto, e non sono più tornati. Luminosi finalmente in viso, dopo le lacrime e i traumi gerosolimitani, con la pace nel cuore e il fuoco ai piedi. Non ho potuto fare a meno di benedirli e di… invidiarli. fra Matteo

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